Non possiamo comunque non rilevare, proprio per questa conoscenza del lavoro fatto a Riace, che ci sono sentenze che si devono giudicare non solo dall’esame degli atti processuali, ma anche per gli esiti che hanno nell’immediato sull’opinione pubblica. In questo quadro pensiamo che dietro a questa sentenza ci sia una visione distorta della legalità, che va aldilà dell’analisi, doverosa, delle sue motivazioni tecniche e formali.
Mimmo Lucano ha costruito a Riace, in una situazione oggettivamente e complessivamente difficile, in una terra di confine, un modello di accoglienza e di inclusione solidale e rispettoso delle persone, che va oltre eventuali errori burocratici e formali. La giustizia dovrebbe rispettare sempre questo livello sociale e solidale, che aiuta la società intera a superare momenti difficili e di crisi. Anzi la giustizia dovrebbe essere sempre parte integrante di questo lavoro di costruzione di un modo di convivere civile ed accogliente, perché è un lavoro che la società fa per difendersi, crescere, salvare vite umane e rispettare i diritti universali.
Se non si rispettano questi principi una sentenza rischia di trasformarsi unicamente in un esercizio distorto del potere, in questo caso di violenza gratuita e di condanna contro una comunità accogliente, e non di monitoraggio della formale correttezza amministrativa, peraltro a favore di minori e persone fragili ed emarginate.
Certamente attendiamo le motivazioni, ma non si può non rilevare come questa sentenza nell’immediato è unicamente uno strumento di lotta a quel modello di accoglienza inclusivo e solidale, rispettoso dell’uomo e dei suoi bisogni. Che è anche il nostro modello.
Per questo ci sentiamo profondamente indignati e pienamente vicini a Mimmo Lucano di fronte a questa condanna assurda di un modello di accoglienza e di una voce libera.